Senzapensione

Senzapensione
Effetti della pensione del futuro

venerdì 27 aprile 2012

Lettera a GRILLO

Caro Beppe, Grazie all’ISTAT i giornali di oggi (27 aprile) hanno svelato che metà delle pensioni pagate vale meno di 1000 euro al mese. 1000 €! Una pensione che la maggior parte dei giovani lavoratori e di quelli di mezza età, si sognano di avere al compimento dei 65 anni e passa. Difficile infatti che un normalissimo lavoratore dipendente possa superare quel limite, causa coefficienti di rivalutazione agganciati ad un andamento del PIL negativo o inesistente. E’ la condanna di chi avrà la pensione calcolata con il sistema CONTRIBUTIVO ma che di contributivo non ha nulla, visto che non restituisce di fatto che la minima parte di quanto versato in 40 anni e passa di lavoro e senza rendere disponibile alcun capitale. Ma è di un dato non detto dall’ISTAT e non segnalato dai giornali che volevo parlare. Non si dice infatti che su 253 miliardi pagati di pensioni nel 2009, ben 37,7 (cioè quasi il 15%) sono andati ad un solo 4,3% di pensionati e che 2,6 milioni su 16,7 milioni totali sono invece i pensionati che percepiscono più di 2000 €. al mese di pensione. Costano da soli 91 miliardi di euro e percepiscono una pensione già superiore allo stipendio medio di un impiegato o di un operario (tra i 1200 e i 1400 €.) che con i propri contributi oggi pagano pensioni maturate con 15, 20, 25 anni di lavoro e calcolate sull’ultimo stipendio percepito. Fra tutte le misure, questo governo di tecnici in età di aureo pensionamento, non ha realizzato che la prima vera manovra da fare sulle pensioni è il taglio di quelle pensioni che, per durata e livello retributivo, non sono state guadagnate nel corso della vita lavorativa. Tagli a partire dal 3% per le pensioni sopra i 2000€ per arrivare al 15% per quelle sopra i 3000€ porterebbero nelle casse dello stato quasi 9 miliardi di euro da utilizzare per sostenere il reddito di chi non arriva a fine mese, ha perso il proprio lavoro e per chi il lavoro lo sta cercando o lo cercherà. E in futuro, magari, anche per riportare a maggiore equità questo sistema pensionistico che condanna i più giovani come i lavoratori di mezza età. Il popolo del contributivo e del misto che oggi consente che quelle stesse pensioni vengano mensilmente pagate! Confidando di esserti stato utile e che tu lo possa essere per tutti i futuri pensionati, un cordiale saluto

martedì 24 aprile 2012

stipendi fermi come nell'83

Dice l'Istat che la forbice fra aumnento degli stipendi (1,2) ed inflazione (3,3,)si è allargata al livello del 1983. Trenta anni fa, quando però l'inflazione viaggiava a doppia cifra e, come insegna la vecchia curva di Philips, la situazione del lavoro era quasi da pieno impiego. Oggi invece calano gli stipendi, aumenta l'inflazione e pure la disoccupazione, toccando livelli pericolosi per un paese non più abituato da tempo a vivere tensioni socio economiche importanti. Il rischio, per tutti i lavoratori dipendenti, non è solo quello di vedere minacciato il proprio posto di lavoro, ma di veder compromesso anche quella parte che il nostro lavoro ha sin qui maturato e avrebbe dovuto esser messo da parte per assicurare il nostro futuro pensionistico. E' proprio la condizione di contingente crisi economica che dovrebbe mostrare la debolezza del sistema pensionistico falsamente mutualistico vigente. Ai lavoratori dell'economia di crisi si chiede oggi di continuare a pagare contributi per pensioni di altri, maturate con pochi anni di lavoro e con un sistema di calcolo basato sull'ultimo stipendio percepito, mentre quegli stessi contributi versati per tempi sempre più lunghi non ci potranno assicurare la men che minima pensione onorevole e nemmeno essere utilizzati per risolvere il problema contingente. Quello della possibile perdita del lavoro, del bisogno di affrontare problemi emergenti ed affrontere nuove scelte di vita e di lavoro.

giovedì 19 aprile 2012

Disoccupati e Ticket

L’ultima inquietante chicca del governo dei professori, abituati a far economia sui sacri testi di David Ricardo e Adam Smith, è stata l’abolizione dell’esenzione del ticket per i disoccupati e loro familiari a carico.
Una svista immediatamente corretta dopo le prime proteste. In effetti, si direbbe, a che pro introdurre una misura quasi del tutto inutile e che avrebbe avuto effetto solo sui disoccupati di lunga durata.
Già, di lunga, visto che per essere esenti non è sufficiente essere disoccupati ma anche dimostrare di avere un reddito, riferito naturalmente all’anno precendente, inferiore agli 8 mila e passa euro o agli 11 mila e passa se con coniuge a carico.
Dunque, a beneficiare dell’esenzione è unicamente il disoccupato senza speranza.
Perché comunque inquietante la notizia? Non certo per l’ulteriore dimostrazione di agrezza del circolo professorale che nulla fa per caso, quanto piuttosto perché potrebbe essere stata la naturale conseguenza di un calcolo econometrico fondato sulla previsione che la disoccupazione nel presente e nel futuro è già e lo sarà sempre più di lunga, lunghissima durata.
Una spiacevole, spiacevolissima conferma.

venerdì 6 aprile 2012

art. 18: tanto rumore per qualche danno in più.

Il paradossale rilievo dato dal Governo e da alcuni partiti alla questione dell’art. 18 è stata ben sottolineata dalla battuta di un comico, Crozza, nel corso del suo spazio all’interno della trasmissione Ballarò di martedì scorso.
In un paese che quasi quotidianamente registra l’utilizzo improprio delle risorse comuni da parte dei partiti, dove regnano mafia, camorra e n’dragheta, dove chi ruba non viene punito, dove è possibile il falso in bilancio, dove l’evasione è caratteristica economica, il problema per chi, dall’estero, volesse investire non è certo l’art. 18.
L’incertezza, la frammentarietà, la prassi costante dell’interpretazione della norma, del sistema giuridico italiano è quello che semmai spaventa l’investitore che ha che fare con norme in materia di utilizzo del territorio, urbanistiche, di bilancio, fiscali che hanno la più diversa applicazione ed incerta validità territoriale.
Invece no, il problema è l’art. 18. Ed ora, che l’art. 18 di fatto non c’è più, essendo il giudice il dominus della scelta fra reintegro e indennità nell’ambito di licenziamenti economici impugnati che vedranno caricate le corti di giustizia di innumerevoli ricorsi, vedremo quante assunzioni farà il mercato.
Vedremo quanti giovani laureati con percorso Magistrale saranno felici di poter iniziare la loro carriera come APPRENDISTI. Del resto, non è nemmeno una novità quella dell’apprendistato per livelli di una certa richiesta culturale. Molte banche già lo applicano da tempo per i propri neoassunti laureati in economia e commercio.
Vedremo anche quanto sarà utile questo generale utilizzo dell’apprendistato per facilitare il rientro nel mercato del lavoro degli ultracinquantenni che non possono andare in pensione.
Per certo, della riforma del mercato del lavoro qualcheduno beneficierà: i datori di lavoro che potranno assumere 3 apprendisti ogni 2 lavoratori a tempo indeterminato con i conseguenti sgravi fiscali, i sindacati cui si dovrà quasi obbligatoriamente ricorrere per ricevere tutele nelle possibili vertenze relative al reintegro o alla quantificazione dell’indennizzo, gli organismi e le società di “formazione” per le quali si apre, inaspettatamente, la cornucopia degli inutili e gratuiti corsi di riqualificazione.
Tanto rumore per creare qualche danno in più.