Senzapensione

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Effetti della pensione del futuro

martedì 20 settembre 2011

41.000 euro al mese

E dove, se non in Sicilia!
Solo nella regione a specialissimo statuto autonomo, inattaccabile da qualsiasi controllo, può succedere che tutti noi paghiamo ad un ex dirigente regionale un pensione MENSILE di tale ammontare.
Per la precisione la paghiamo al dott. Felice Costa ex dirigente nominato, nell'ultimissimo scampolo della sua carriera, a capo dell'agenzia dei rifiuti siciliana.
Grazie al cumulo degli incarichi (a prescindere dai risultati mostrati) e alla specialissima legge regionale del 62 che regola le pensioni dei dipendenti regionali che ancora possono andare in pensione con 25 anni di anzianità e con indennità di quiescenza che arrivano fino al 108% dell'ultimo stipendio.
Capita così che a soli 47 anni di età altro burocrate regionale goda già di ricc pensione: si chiama Piercarmelo Russo ed è riuscito ad andare in pensione ad appena 47 anni, con la motivazione di dover assistere il padre malato. Peccato, però, che qualche settimana dopo il presidente della Regione Raffaele Lombardo lo abbia nominato assessore.
Curiosità italiane, tipiche di un paese in cui il paradosso è parte della comune esperinza e dove nulla ormai stupisce.

mercoledì 14 settembre 2011

la povera pensione di Giuliano Amato

Visto ieri Giuliano Amato (il "pensatore" del PSI al tempo del CAF che ha fatto correre allegramente il debito pubblico) ciarlare disinvoltamente di manovre finaziarie con la Gruber su LA7.
Gioviale sino alla impertinente domanda della giornalista Trentina che gli chiedeva se fosse vero che la sua pensione viaggia sui 30.000 euro mensili.
Ovviamente NO! ha precisato il dott. Sottile. La sua pensione cumula il periodo svolto da parlamentare con quello di presidente dell'Antitrust, il cui stipendio è legato a quello dei giudici della corte costituzionale.
Quel solo incarico, tenuto dal 94 al 97 sembra avergli consentito, grazie al sistema retributivo con cui è andato in pensione di rapportarla tutta al valore degli stipendi ricevuti in quei soli 3 anni.
Risultato...11.000 euro netti al mese, che portati al lordo ed una volta aggiunto, sempre al lordo, il vitalizio da parlamentare, fanno appunto 30.000 e passa euro.
Questione di esposizione....

giovedì 1 settembre 2011

15 anni 6 mesi e … 1 giorno


15 anni 6 mesi e 1 giorno, quanto ancora bastava negli anni 80 per andare in pensione. Quanto bastava per insegnanti di scuola elementare, media e superiore per maturare una pensione che oggi vale circa 800 euro al mese. Quanto bastava per chi nel pubblico, durante quegli anni, ha magari pure svolto, in aggiunta all’insegnamento, l’attività professionale di avvocato, commercialista, ingegnere, architetto etc…, perché, come si sa, l’arte e la scienza sono libere, ed è libero il loro insegnamento.
Un privilegio, quello della pensione dopo 15 anni di lavoro, la cui enormità è oggi tanto più evidente di fronte alle decine, se non centinaia, di migliaia di precari della scuola in annosa attesa di un posto di ruolo.
Privilegi, si dirà, di un tempo. In realtà, non è cosi. E non solo perché la Regione Sicilia consente ai suoi dipendenti di andare ancora in pensione con soli 25 anni di lavoro ma perché le pensioni di tutti quanti sono andati in pensione sino a non molti anni fa con 15, 20, 25, 30 anni di lavoro e con il sistema retributivo, basato cioè sull’ultimo stipendio percepito, oggi le paghiamo noi, le paghiamo da molto tempo e per molto tempo le pagheremo ancora, fortuna loro.
A questi privilegiati, dalle pensioni rivalutate base istat e che formano lo zoccolo duro delle principali organizzazioni sindacali, disposte a parlare di pensione di chi oggi lavora già da 30 anni, ma non di quelle di chi già ne gode da venti o trenta anni e con molti meno anni di lavoro alle spalle, a questi privilegiati, si diceva, vanno oggi chiesti sacrifici e contributi di solidarietà.
Non a chi, dopo più di 40 anni di lavoro ci andrà, grazie al sistema contributivo ed al progressivo sgretolamento degli indici di rivalutazione, con una pensione non molto diversa dall’attuale assegno sociale riconosciuto agli indigenti.
Certo, c’è la questione dei diritti quesiti. Una volta acquisito un certo diritto, nel nostro ordinamento la persona che ne beneficia lo mantiene.
Un nobile e, in condizioni normali, giusto principio.
Derogato però con la riforma Dini che nel 1995 ha ritenuto di riconoscere ad alcun lavoratori questo principio e ad altri no.
E dunque, in condizioni non normali di crisi forse epocale, perché non chiedere ai privilegiati di un tempo un minimo sacrificio. Perché non dare una occhiata al reddito familiare delle pensioni baby, perché non sbocconcellare qualche cosa alle pensioni superiori ai 2000-2500 euro maturate con il sistema retributivo e godute già da anni?
Non sono forse i tartassati lavoratori di oggi a sostenere tutto il sistema pensionistico? Non meritano forse i futuri pensionati di domani e quelli di dopodomani una prospettiva certa, ragionevole ed onesta di fronte al contributo mensile lasciato sul campo?
Non è forse giunta l’ora ed il tempo per un nuovo patto sociale prima che sia troppo tardi, prima che la ribellione monti ed il conflitto fra chi ha avuto e chi non avrà diventi insanabile?
Invece NO! La risposta del Governo, del parlamento nel suo complesso e delle parti sociali non prevede minimamente di considerare la questione, se non in una ottica di peggioramento delle condizioni di chi oggi paga le pensioni degli altri.
E, allora, non resta che diventar padroni del proprio contributo!